L’ETERNITÀ IMMUTABILE

Rodolfo Wilcock
“Un convegno per il centenario dalla nascita di Wilcock – dichiara Giorgio Nisini, scrittore e saggista, responsabile scientifico di Wilcock Festival – rappresenta l’occasione per riflettere su un autore anomalo nella storia culturale italiana, un autore dimenticato ma ancora molto apprezzato da un certo pubblico – un pubblico trasversale, di specialisti, di giornalisti, di teatranti, ma anche di lettori inaspettati come Jovanotti. La sua opera proviene da una tradizione umoristica di matrice anglosassone precipitata nella cultura enciclopedica, dantesca e labirintica di Borges, e riformulata in una lingua e in una cultura completamente nuova, quella italiana. Un autore come lui ci mostra chiaramente quanto una produzione letteraria in lingua italiana che provenga da uno scrittore non italofono, possa introdurre nella letteratura italiana stessa, nei suoi canoni, nei sui stereotipi narrativi e interpretativi, degli elementi di straniamento e di innovazione. Nel leggere Wilcock, scrisse una volta Pasolini – che lo fece recitare nel ruolo di Caifa nel “Vangelo secondo Matteo” – «provo un leggero senso di terrore […] un disagio sottile…»; e questo perché Wilcock ci pone di fronte all’inferno dell’esistere, che lui osserva con un «ridente sguardo»”.
Ore 19.30 – Conversazione in pubblico con Ricardo Menéndez Salmón – Intervista di Matteo Lefèvre e Giovanna Fiordaliso
Il convengo per il centenario della nascita di Juan Rodolfo Wilcock è realizzato all’interno del Wilcock Festival (Lubriano, Palazzo Monaldeschi, ottobre 2018 – Aprile 2019), un’iniziativa organizzata dal Comune di Lubriano con il sostegno di Regione Lazio e in collaborazione con il Festival Quartieri del’Arte.
Roberto Bolaño racconta che il primo libro di Wilcock che gli capitò di leggere – «in giorni nei quali tutto faceva presagire solo tristezza» – gli «restituì l’allegria, come riescono a farlo solo i capolavori della letteratura che sono al tempo stesso capolavori dello humour nero». Da allora non smise mai di raccomandare, come si raccomanda un farmaco benefico, quello che definiva «uno dei più grandi e più strani (con tutto ciò che di rivoluzionario ha in sé questa parola) scrittori di questo secolo, che nessun buon lettore deve trascurare». Il libro dei mostri, l’ultimo di Wilcock, lo conferma: è uno dei suoi più felici e sfrenati viaggi nel fantastico, la ricognizione puntuale ed esilarante-raccapricciante di un «piccolo mondo mostruoso», dove non troveremo Sirene e Onocentauri, ma molti personaggi improbabili – e che pure ci sembra di incontrare ogni giorno, in quella quotidianità, riconoscibile come semplice maschera del caos, in cui vengono genialmente innestati il grottesco e l’assurdo, la diversità e la follia: il geometra Elio Torpo, per esempio, si è tramutato in un vulcano di fango, l’ufficiale postale Frenio Guiscardi in «un ammasso di peli, lana e bambagia, di forma genericamente sferica», il critico letterario Berlo Zenobi in una massa di vermi, il veterinario Lurio Tontino in un asteroide, e lo psicoanalista Ruzio Haub-Haub è in tutto simile a una vipera… Come Hrundi V. Bakshi (il protagonista di Hollywood Party), ha scritto Edoardo Camurri, «Wilcock si diverte a mandare a gambe all’aria tutto quanto»: sotto la caustica ferocia dei suoi attacchi crollano frasi fatte, luoghi comuni, banalità e ideologie.