Vincenzo SANFILIPPO- Vivere taglieggiati (“Panenostro” di R. Mastrota al Teatro Tordinona, Roma)
Teatro Lo spettatore accorto
VIVERE TAGLIEGGIATI
“Panenostro”. Testo luci e regia Rosario Mastrota, Interprete Ernesto Orrico, assistente alla regia Dalila Cozzolino, scenografia Marco Foscari. Produzione Compagnia Ragli, Locandina Pino Viola. Con il sostegno di Associazione Antimafia Sud. Teatro Tordinona di Roma
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L’autore Rosario Mastrota riscrive registicamente la vicenda umana di un panettiere taglieggiato dalla ‘ndrangheta, evidenziando nel suo testo le contraddizioni sociali e politiche del Meridione. Realizza questo grazie alle verticalizzazioni dei nodi interpretativi di Ernesto Orrico che, rramite sintomatici afflati espressivi, rispetta ed evidenzia la purezza del ritmo testuale, le cui modalità di scrittura sono intrise di sofferto impegno civile.
Un’installazione minimale, ipnotica e al contempo estraniante, costituita da un emiciclo di semplici buste di plastica, rifiuta qualunque superfetazione scenografica. L’attore monologante, Ernesto Orrico, nel personaggio di un ex panificatore ridotto per “stracci”, rovista come un disperato clochard e con nevrotica ansia in quelle buste piene di farina, lievito e bottiglie d’acqua, mentre racconta il suo peregrinare.
Non possiede più l’avviata panetteria e come un senzatetto alienato continua la sua attività sui marciapiedi, disponendo sulle tavole del palcoscenico un mucchio di farina a fontana; quindi aggiunge nel cratere il lievito e l’acqua, iniziando con movenze rituali ad amalgamare l’impasto. Mentre mescola, si spalma con gesto etico l’impasto sul viso, come a voler far combaciare la propria identità con il mestiere. Lui ha più bisogno d’illusioni che di pane: vorrebbe cuocere una pagnotta, dorata e profumata. Un panenostro da sfamare tutta la gente, come lui , che ormai non ha più da mangiare.
L’interprete, alto e diritto, il viso inbiastricciato, le mani nel gesto che precede le parole, tiene gli occhi chiusi per connotare il pudore della fede che sgorga come un richiamo sacro da quel suo idealizzato “panenostro”, mentre respira il profumo di quella pagnotta appena infornata ed evocata da un filo di fumo che esce da un reinventato forno di cartone, come in un teatrino di fiaba.
L’attore, con maestria, ci racconta immagini vivide e avvincenti, il paesino di Calabria da dove la sua famiglia è emigrata e da dove è iniziato il nomadismo lavorativo di panificatore, nobile mestiere appreso dal nonno e dal padre. Il viatico nutriente del benessere viene però avvelenato dal lievito dell’indifferenza che ha trovato nella grande città del settentrione.
Qui al nord anche la ‘ndrangheta ha emigrato e messo radici per continuare cinicamente a taglieggiare chiedendo il “ Pizzo”, e indebitando i negozianti inadempienti s’impadronisce dei loro esercizi commerciali. L’esproprio della panetteria porta il nostro fornaio alla disperazione, alla persuasione di una sconfitta inevitabile e irreparabile della propria sopravvivenza che lo condurrà verso un impulso psicogeno violento. Prolungati applausi di una platea entusiasta da cui si evidenziano nitide emozioni suscitate dalla rappresentazione.